La rottura del rapporto fra Freud e Jung si fa generalmente risalire all’impostazione, da parte di quest’ultimo, della questione della complessità della psiche sulla base idea dell’esistenza di un livello inconscio profondo, condiviso dalla totalità degli individui, che è sede degli archetipi, i quali, in quanto princìpi organizzatori impliciti tipici della natura umana, hanno un significato e un valore collettivi, identici per tutti gli individui. Nel 1917 Jung avanzò l’idea che questo inconscio collettivo si manifesti sotto forma di punti nodali del mondo delle immagini, da lui chiamate dominanti, e attribuì poteri sempre maggiori a esse, considerandole, appunto, una struttura innata.
In realtà la frattura fra i due ha motivazioni più profonde, in quanto costituì il risultato inevitabile della dialettica tra due differenti concezioni della struttura della psiche e dei processi di conoscenza, tanto da far dire a Cesare Musatti che essa avvenne come in un dramma dal finale preannunciato. L’epistolario tra i due protagonisti di questa complessa vicenda (non ancora valorizzato fino in fondo, anche perché incomprensibilmente considerato di scarso interesse scientifico dagli stessi corrispondenti) dimostra infatti chiaramente quanto entrambi sapessero, fin dall’inizio, quello che sarebbe accaduto.
Il fatto è che i due ricercatori provenivano da due retroterra culturali eterogenei, da due “romanzi famigliari” molto diversi tra loro, da due matrici religiose ben differenti (Jung figlio di un pastore protestante, Freud di religione ebraica), che non potevano non influenzarne la concezione dell’uomo e dei rapporti con il reciproco religiosum interno. Inoltre essi guardavano a orizzonti scientifici marcatamente differenti: l’uno, Freud, era profondamente influenzato dalla fisica dell’ottocento, antecedente alla rivoluzione della teoria della relatività ristretta e, soprattutto, generale di Einstein e della meccanica quantistica; l’altro, Jung, anche in virtù del suo rapporto con Pauli, nutriva un profondo interesse per la nuova teoria che si era sviluppata grazie agli apporti di Planck, prima, e poi di Heisenberg, Schrödinger, Bohr, Born e dello stesso Pauli, ed era attratto dai rilevanti elementi di novità che essa introduceva nell’immagine del mondo fisico.
Le mie ricerche sull’opera di Jung sono volte a ricostruire proprio questo intreccio tra la psicologia analitica da lui fondata e la meccanica quantistica nell’interpretazione che ne aveva fornito la scuola di Copenhagen, di cui Pauli era uno dei più autorevoli esponenti.
In particolare esse concentrano l’attenzione sull’interesse mostrato da Jung per il comportamento enigmatico e misterioso degli oggetti quantistici, che ha contribuito a trasformare alcune idee generali sui concetti di conoscenza oggettiva, di realtà fisica e sulla interazione fra ciò che esiste e ciò che potrebbe esistere. Nel contesto della semantica classica, gli oggetti attuali e quelli possibili venivano distinti in modo netto: l’insieme degli oggetti attuali era descritto come un sottoinsieme proprio (senza contorni sfumati) della classe degli oggetti possibili. La logica quantistica (creata negli anni Trenta del Novecento da Birkhoff e von Neumann come una astrazione logica naturale dal formalismo matematico della teoria quantistica) è, invece, “molto più liberale”, in quanto ammette che l’esistenza attuale possa, in generale, dipendere da esistenze virtuali. Come ha osservato il logico Quine, il concetto tradizionale di oggetto fisico tende a “evaporare ” nella fisica moderna. La realtà risulta intrecciata con la possibilità! L’ipotesi che viene avanzata nei miei studi è che proprio questa potrebbe essere la matrice dell’idea junghiana di un Sé come centro potenziale dello psichico attorno al quale l’Io ruota. Questo Sé non è, secondo Jung, soltanto il centro, ma l’intero perimetro che abbraccia coscienza e inconscio insieme: è il centro di questa totalità, così come l’Io è centro della mente cosciente.
Dall’asse Sé/Io così impostato scaturisce l’idea del centro come un’immagine di completezza, totalità e globalità, che il processo psichico individuativo innesca a partire dal senso di incompletezza e parzialità che la coscienza vive. Si tratta di una immagine senza spazio e senza tempo e pertanto senza consistenza fenomenica, se si assume, come riferimento l’approccio kantiano. Proprio come accade nella meccanica quantistica, dove il livello fondamentale di riferimento non il fenomeno, definito, ancora una volta sulla scia dell’impostazione kantiana, come un qualcosa collocato in modo preciso nella trama dello spazio e del tempo e soggetto all’azione ordinatrice e strutturante del tessuto delle categorie, in particolare della causalità, bensì l’interfenomeno, come lo ha chiamato Hans Reichenbach, cioè il possibile allo stato puro, al quale la fisica classica riconosceva diritto di cittadinanza solo nel mondo del pensiero, una presenza che possiede un’indeterminazione intrinseca rispetto alle possibili osservazioni che si possono compiere su di esso.
Il compito che mi sono proposto in questo filone delle mie ricerche è allora quello di stabilire quali siano state le effettive (e documentabili) mutuazioni e interazioni tra questi due ambiti della ricerca, riguardanti il mondo fisico e quello psichico, la materia e la psiche, come recita il titolo del volume scritto in collaborazione con Angelo Malinconico, e quali significati possano essere attribuiti agli esiti che ne sono derivati e alle prospettive che si sono in questo modo aperte. In questo percorso di lettura e confronto, ho avuto modo di constatare la profonda mutualità dello scambio tra Pauli e Jung, un’adesione dell’uno e dell’altro certamente non passiva, bensì proficua proprio grazie all’assunto di base del reciproco rispetto di ciò che avviene in natura come nella psiche umana, in maniera spre-giudicata (e quindi da veri ricercatori). Per entrambi l’individuo ha un’indubbia capacità di essere in contatto con una matrice universale, nella quale spirito e materia si propongono a una scienza olistica, omnicomprensiva. Ciò concretizzava e dava statuto di scientificità all’antico sogno alchemico, la coniunctio tra ricerca umanistica e conoscenza scientifica.
Le Pubblicazioni su questo filone di ricerca:
1. Lo scarabeo d’oro. Note in margine alla lettura del Gesto che racconta, in ‘Rivista di psicologia analitica’. Nuova serie, n. 27, vol. 79/2009, pp. 233- 253;
2. S. Tagliagambe , G. Giannotta, Racconto mitico, spazio teatrale e sogno, in A. Malinconico (a cura di), Il sogno in analisi e i suoi palcoscenici. Drammatizzazioni, gioco e figurazioni, Edizioni Ma.Gi, Roma, 2011, pp. 19-69;
3. S. Tagliagambe, A. Malinconico, Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche, Raffaello Cortina, Milano, 2011;
4. La vita è sogno, in P.F Pieri (a cura di), La coscienza e il sogno a partire da Paul Valéry, Moretti & Vitali, Bergamo, 2011, pp. 47-96;
5. Il sacrificio e la relazione tra Sé/Io, ‘Educazione sentimentale’, n. 17, 2012, pp. 17-39;
6. Il gioco della sabbia, la sezione aurea e lo spazio intermedio, in G. Andreetto e P. Galeazzi, a cura di, Mondi in un rettangolo. Il gioco della sabbia: aperture sul limite nel setting analitico, Moretti&Vitali, Bergamo, 2012, pp. 275-302;
7. S. Tagliagambe, A. Malinconico, Jung e il Libro Rosso. Il Sé e il sacrificio dell’Io, Moretti&Vitali, Bergamo, 2014;
8. Lo sguardo della speranza, ‘Quaderni degli Argonauti’, n.28, dicembre 2014, p. 126;
9. S. Tagliagambe, A. Malinconico, Jung e il Libro Rosso. Il Sé come sacrificio dell’io, Moretti&Vitali, Bergamo, 2014;
10. Introduzione a S. Corbella, Liberi legami. Un contributo psicoanalitico per un nuovo patto sociale, Borla, Roma, 2014, pp. 7-24;
11. S. Tagliagambe, A. Malinconico, Jung, Pauli e le corrispondenze in-visibili, ‘Enkelados’, Rivista mediterranea di psicologia analitica, pp. 10-20;
12. Livelli di emozioni, ‘Atque’, n. 17, 2015, “Materiali tra filosofia e psicoterapia”, pp. 35-78;
13. Gioco, gesto, immagine e creatività, in P. Aite, P. Galeazzi, Gioco e realtà, ‘Rivista di psicologia analitica’, N.s. n. 40, vol. 92/2015, pp. 131-149;
14. La cura nello spazio intermedio tra il corpo e la psiche, ‘Atque’, n.16, 2015, “Le figure della cura: Pratiche psicoterapeutiche e pratiche filosofiche”, pp. 167-216.